Per Bulldozer Bruno è stata una serata particolare, ricca di sensazioni contrastanti. E’ tornato a vestire la maglia dei labronici proprio nello stadio Ciro Vigorito dove ha mosso i primi passi da calciatore e dove, appena gli impegni calcistici lo consentono, torna volentieri per assistere nella veste di tifoso alle gare del “suo” Benevento.
L’emozione del ritorno
Sì, perché Alessandro Bruno, a dispetto delle contestazioni da parte di una frangia del tifo giallorosso (che gli rimprovera di aver partecipato a un coro di scherno intonato dai tifosi molossi nei confronti della Strega quando militava nella Nocerina), il Benevento ce l’ha nel cuore. Figlio del rione Libertà, il quartiere simbolo dell’anima popolare della città, Bruno la fortuna è andata a cercarla lontano dal Sannio ma non ha mai dimenticato la città d’origine e la squadra in cui è cresciuto. “E’ sempre emozionante tornare a giocare qui, sono felice di aver rivisto tanti amici e faccio il mio in bocca al lupo al Benevento, sperando che possa raggiungere i suoi obiettivi” ha spiegato ieri sera ai cronisti al termine della partita.
L’infanzia al rione Libertà
Uomo di lotta più che di governo, Bruno ha il classico fisico del gladiatore. Uno di quelli che è meglio non incrociare nella zona nevralgica del campo. Del resto, il Bulldozer di abbasc’e palazzine (come viene chiamato dai beneventani il rione Libertà) ha imparato presto a soffrire e lottare. Come raccontò qualche anno fa a Repubblica, il primo ostacolo lo affrontò da bambino: “Avevo appena quattro anni quando i miei genitori divorziarono. Non è stato facile superare quel trauma. In più ero figlio unico. Solo dopo mio padre ha avuto un secondo figlio da un altro matrimonio. Certe cose ti segnano. Fortunatamente, papà Antonio non mi ha mai mollato, neppure per un istante”.
L’incontro con Gaetano Auteri
Un’altra figura fondamentale nella vita di Alessandro Bruno, è stato Gaetano Auteri, l’allenatore che ha condotto il Benevento per la prima in volta in Serie B e che, grazie a quell’impresa, è probabilmente il tecnico più amato di sempre dalla torcida giallorossa: “Arrivò al Catanzaro nell’estate del 2009. Al raduno ci fu la prova della bilancia: ero in sovrappeso di oltre sei chili. In più c’erano cattive voci sul mio conto: dicevano che fossi un amante della vita mondana. Auteri mi disse di preparare le valigie e andare via. Quell’incontro sembrava dovesse stroncarmi, invece mi ha cambiato la vita. Chiesi di andare in ritiro in attesa di nuova collocazione. Iniziai a lavorare come un mulo senza mai ricevere un complimento. Dopo due mesi avevo smaltito sei chili. Auteri un giorno mi convocò e proferì poche parole: sei dei nostri. È un allenatore straordinario ed un uomo di grande spessore morale. Devo a lui la mia crescita professionale”.
Il legame con la Nocerina
Una crescita che nel novembre 2015 lo ha portato ad esordire in Serie A con la casacca del Pescara. L’unico rammarico è quello di non aver più indossato la maglia giallorossa, forse anche a causa del suo mai celato attaccamento alla Nocerina. Un legame che gli ha creato non pochi problemi, anche nella vita privata: “Qualche anno fa ero nel mio amato rione Libertà. Alcuni stupidi s’avventarono su di me e ne scaturì una piccola rissa. Tutto perché indossavo la maglia rossonera. A Benevento la soffrono questa situazione. Forse mi vorrebbero in casacca giallorossa, ma non è colpa mia se non sono restato lì. Il presidente Spatola credeva tanto in me, chi è arrivato dopo di lui non ha avuto fiducia. Fortunatamente la maggior parte delle persone a Benevento mi vuole un gran bene”.
Il sogno
E anche lui, nonostante qualche incomprensione, continua ad amare profondamente la squadra della sua città e sogna di poter festeggiare con gli amici di sempre una nuova promozione del Benevento in Serie A.