Il magma sotterraneo matesino e l’incapacità di sfruttare le potenzialità di un territorio

Nell’area del Matese che da S. Potito, passando per Gioia Sannitica, Faicchio, San Lorenzello e Cerreto Sannita, arriva sino a Cusano Mutri, ad una profondità tra i 15 e i 25 chilometri c’è uno strato di magma che provoca la fuoriuscita di CO2 e conseguentemente può generare terremoti di “magnitudo significativa”. La scoperta, com’è noto, è emersa dallo studio Seismic signature of active intrusions in mountain chains, condotto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dal Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia e pubblicato sulla rivista Science Advances.

Lo studio conferma, dunque, l’alto rischio sismico di un’area in cui già nel 1688 si registrò il disastroso terremoto che rase al suolo Cerreto Sannita e determinò la nascita, più a valle rispetto al precedente sito medievale, della prima città italiana costruita con impianto antisismico, come ha sostenuto di recente l’architetto Nicola Ciaburri nel volume “La forma come resistenza sismica. Una città costruita dopo il terremoto del 1688” pubblicato da Tetraprint.

La notizia diffusa dai principali media nazionali offre anche lo spunto per un’altra riflessione poiché la ricerca, come detto, è stata condotta dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e dal Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia, e non dall’ateneo Federico II di Napoli o dall’Università degli Studi del Sannio, che pure annovera al suo interno un corso di laurea in Scienze Geologiche.

Un’ulteriore testimonianza, dunque, dell’incapacità di un territorio, e più in generale di una regione, di studiare o valorizzare le proprie peculiarità. Proprio a Cerreto Sannita, ad esempio, da anni rimane inutilizzata una struttura che in precedenza ospitava un istituto scolastico gestito dalle suore e che poteva diventare una sorta di campus per studenti interessati all’urbanistica e alla ricostruzione post sismica, allo studio dei fenomeni tellurici o persino alla paleontologia, vista  la vicinanza con l’area di Pietraroja in cui fu ritrovato Scipionyx samniticus. Un tentativo in tal senso fu fatto qualche anno addietro con l’Università degli studi del Sannio, ma non ebbe seguito, nè mai nessuno ha pensato di utilizzare l’ex convento delle Clarisse come luogo dove ospitare laboratori di architettura o momenti di confronto sul rischio sismico, seguendo la strada tracciata proprio dall’architetto Nicola Ciaburri nel lontano 1988 in occasione delle iniziative promosse per celebrare il tricentenario della ricostruzione ex novo della città, che pure ebbero vasta eco nel mondo accademico nazionale.

Sempre a Cerreto Sannita c’è, poi, un altro emblema dell’incapacità di sfruttare le potenzialità del territorio: l’antica torre medievale sopravvisuta al catastrofico sisma del 1688. Dopo anni di abbandono e disinteresse, l’area è stata finalmente (e meritevolmente) sottoposta a lavori di recupero grazie ad un cospicuo finanziamento regionale. I lavori, però, non sono stati mai ultimati e sono poi finiti nel mirino della Direzione Distrettuale Antimafia nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto dell’ex assessore regionale Pasquale Sommese. Il comune di Cerreto Sannita, che già versa in uno stato di dissesto, rischia addirittura di dover restituire il finanziamento ricevuto dalla Regione Campania.

Nel frattempo, l’area rimane inaccessibile ai visitatori e l’antica torre rischia di diventare l’ennesimo simbolo di fallimento.

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AGGIORNAMENTO DEL 22/01/2018

A seguito di un colloquio avuto con  l’ingegnere capo del comune di Cerreto Sannita, Letizio Napoletano, ho appreso che i lavori oggetto di finanziamento regionale sono stati ultimati e collaudati e che l’area dell’antica Torre è visitabile mediante un preventivo contatto con gli uffici comunali in quanto, al momento, non è stato predisposto un servizio di guardania. Aspetto, quello delle modalità d’accesso, che comunque sarebbe opportuno esplicitare con un’apposita segnaletica all’ingresso del parco archeologico in modo da non determinare, di fatto, l’inaccessibilità dell’area ai visitatori.